Adulti che non vogliono crescere

Da un po’ di tempo ho come l’impressione che il mondo giri al contrario. Da almeno quindici anni, se non di più, si parla tanto di emergenza educativa, che inizio a pensare che la vera crisi sia quella dei modelli tradizionali di riferimento.

Potrebbe essere la mia visione eccessivamente anticonformista della società moderna e dei suoi canoni, ma a volete ho quasi l’impressione che in Italia ci siano più adulti che si comportano da bambini piuttosto che ragazzini che si comportano come tali.

Secondo alcuni dati dell’Istat, più di un quarantenne su due usa quotidianamente il computer per mandare messaggi in chat o sui social network. Nel tempo libero vanno al cinema, ovvio; ma più di uno su quattro ammette candidamente: “Vado in discoteca”.

Ma cosa succede tra i sessi?

I maschi, ben più delle femmine, vogliono vivere come eterni ragazzini, perennemente in fuga dal matrimonio, i single maschi fino a 44 anni sono circa il doppio delle donne: il 9% contro il 5,4%, senza considerare che questi, ben tre su quattro non si sono mai sposati, contro i separati, vedovi ed una generazione ancora alla ricerca di tutto.

La generazione attuale è figlia della “generazione del ’68”. Nel ’68 si invocava la “rivoluzione al potere”, “la fantasia, l’immaginazione al potere”. I giovani cullati da belle speranze, erano veramente convinti di potercela fare, di realizzare finalmente “un mondo nuovo”, ma diciamocelo. Non è stato così. Quei giovani sono diventati trentenni, quarantenni, cinquantenni e sessantenni, che non sono stati in grado di produrre la “rivoluzione” culturale, sociale, politica ed economica che sognavano.

Tutto questo ha influito sulla generazione successiva, che si è trovata privata anche della spinta propulsiva che comunque il ’68 aveva.

Non è bastata nemmeno la caduta del muro di Berlino, il crollo delle ideologie, la fine dei blocchi est-over, il fenomeno delle correnti migratorie, la nascita dell’Unione Europea, ecc… Per qualcuno è il fallimento di molte ideologie e l’icona del periodo credo si possa sintetizzare in uno yuppie, (Young Urban Professional) lo stereotipo dell’uomo d’affari che abbraccia la comunità economica capitalista ed in essa trova la sua realizzazione. Proprio un bel passo in avanti dagli Hippie sessantottini.

Per molti siamo sulla via della decadenza sociale e dello sfacelo morale che quasi come un cancro inarrestabili guadagnano terreno. Ragazzi costretti ad essere adulti
L’unica cosa che si può fare è cercare un posto tranquillo dove rifugiarci mentre siamo obbligati a prendere parte ad una corsa affannosa verso il “privato”, inteso come ricerca del benessere personale, disinteressato alle grandi utopie, nauseato dalla politica e talvolta immerso nella ricerca del piacere a tutti i costi. Daltronde l’orizzonte si è ristretto e non ci rimane altro che il badare al nostro esclusivo e talvolta egoistico interesse personale.

Ma è possibile diventare un modello per le giovani generazioni? Molti ancora non ha preso coscienza del “fallimento” e quindi non sentono il bisogno di cercare una “strategia alternativa” per risollevarsi. Continuano a vivere in una permanente “contestazione del sistema”, che talvolta certo non merita, ma che molti, troppi, hanno invece preferito continuare sterilmente a contestare, senza proporre valide soluzioni alternative che possano riaccendere un piccolo lume nella coscienza comune.

È necessario cambiare molto, spronare ad essere più coraggiosi e far capire che “dobbiamo essere noi il cambiamento”, puntare su visioni più positive e costruttive dal punto vista delle scelte personali e sociali, altrimenti si rischia di cadere, (quando già non si è caduti), nel nichilismo culturale.

Probabilmente l’approccio più consono da adottare è quello della continua crescita personale e della voglia di migliorarsi, che in ambito manageriale, con il gergo degli Yuppie, verrebbe chiamato empowrment.

È necessario dare più fiducia ai giovani, che facciano da soli le loro esperienze, che si creino le loro strade per realizzare quei valori positivi che, ad esempio, qualche volta abbiamo perso per strada.

Giustizia, solidarietà e uguaglianza

Per insegnare i valori non è necessario essere mettersi dietro una cattedra, basta dare l’esempio, o meglio diventare il modello per le giovani generazioni. Questo richiederebbe un vero cambiamento radicale nel modo di essere, di pensare, di agire, in opposizione a quello dominante oggigiorno.

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